Prova 3 con blocchi

FOCU di Giuseppe Gerbino

    Il poeta rude e tenero di Castellammare del Golfo

Recensione di
SANDRA GUDDO

 

FOCU è il titolo che Giuseppe Gerbino ha voluto assegnare alla sua nuova silloge poetica, ma va subito chiarito che il Fuoco di cui parla il nostro Autore non distrugge ma rigenera anzi genera.

 Ciò appare evidente dalla poesia d’apertura nella quale Egli descrive la condizione del feto dentro il grembo materno attraverso una narrazione poetica che sorprende, dopo le prime due ottave volutamente equivoche. Un’apertura significativa che permette di comprendere che siamo di fronte ad un poeta originale, arguto e penetrante che riesce a sorprendere il lettore pur trattando temi abbastanza consueti ma ravvivati da quel “ focu ginirusu di buntati;/sul unni tia, o mistica ducizza,/trovu la paci e la tranquillitati …/( Castrenze Navarra).

E’ il fuoco della poesia che lo distoglie dalle incombenze quotidiane per scrivere rime e versi e dare senso alla sua vita. E’ il fuoco dell’amore che non si spegne mai anche se “ nun fa la so vampata,/ cinniri chi di sutta sta cuvannu/ e aspetta chi ci duna na ciusciata.” ( pag. 47), riuscendo ad essere sorprendente pur trattando il tema dell’amore e delle sue pene che è tanto inflazionato e presente nella poesia universale.

E’ anche il fuoco di rabbia verso la Natura quando “ammazza li so’ figghi cu un tirrimotu! ‘ Un stermina famigghi/cu li vulcani e li marimoti!” In tal caso la Natura non è più madre ma matrigna perché una madre vera non “cummetti certi azioni …”. Da questi versi potrebbe nascere, nel lettore attento e sensibile, una riflessione sul rapporto Uomo-Natura che già è stata elaborata da altri grandi poeti come Giacomo Leopardi che ha saputo cogliere egregiamente i suoi due volti: quello di madre generosa e di matrigna ingannatrice.

E’ fuoco di orrore e di sdegno quando ricorda la shoah, il genocidio di un popolo organizzato, nei lager, in maniera crudele e disumana attraverso l’uso dei forni crematori. Ancora una volta il fuoco diventa un’arma orrenda nelle mani di uomini senza anima ma la narrazione poetica di Gerbino si contrappone a tanto orrore con le domande del bambino che, innocente, si rivolge alla madre in cerca di spiegazioni” Mamà, dunni ni potanu, dunni jemu?/soccu è ddu fumunta ddu capannuni?/E tutti sti cristiani chi videmu,/ picchi su’ nta ddu fossu a munzidduni?/.

Uno straordinario sonetto in cui la ferocia degli aguzzini si contrappone all’ingenuità del bambino. Un sonetto che non lascia indifferenti sia per il contenuto che per la scelta lessicale e per la struttura formale espressa in metrica.

Ma il poeta attribuisce al fuoco ben altra missione, una missione salvifica ed escatologica che potrebbe condurlo alla salvezza sua e dell’intera umanità: “Abbrucia focu! Chi si tu l’abbruci, ti dugnu tanti cosi d’abbruciari:/ li cosi tinti e l’odiu chiddu atruci …/ dimmilu, Focu, chissu lu poi fari?”

Il Fuoco diventa così una forza intelligente con cui è possibile dialogare e confrontarsi, un alleato contro tutte le forze del male. In fondo già nel Vi sec. a.c. in Sicilia, ad opera del filosofo siceliota Empedocle, che l’aveva assimilata da Anassimene, viene teorizzata la potenza del fuoco che insieme agli altri elementi, acqua, aria e terra, sono i fondamentali della natura. Giuseppe Gerbino, autentico siciliano, che ha sempre coltivato le sue origini, non poteva non ereditare quanto la nostra cultura ci ha trasmesso.

Ma c’è un fuoco che più di ogni altro simbolicamente ha un’azione benefica e salvifica, un’azione generatrice e donatrice di vita e di amore: la Donna! A lei dedica con l’ardore e la passione che contraddistingue il suo poetare che trasuda di realismo, quasi a diventare materia da plasmare, alcuni versi magistralmente costruiti, giocando con la parola “danno”. Le donne non fanno danno, ma danno con generosità ed è per questo che difronte a lei “ lu me birrittu mi levu pi tia, donna, matri, amanti,/ pi tia chi si pilastru di la casa/ pi tia chi si chiu megghiu  d’un diamanti.”

E’ questa infatti una delle caratteristiche della poetica di Giuseppe Gerbino che ama giocare con le parole, a volte creando l’equivoco, altre con un pizzico di umorismo e altre ancora con sagacia. In tal modo Egli riesce ad affrontare varie tematiche, utilizzando forme espressive diverse che vanno dal sonetto allo strambotto in cui comunque fanno la parte del leone gli endecasillabi a rima alternata. Con tale padronanza espressiva Giuseppe Gerbino affronta temi drammatici come la shoah o la morte o i cataclismi naturali con immediatezza e spontaneità, riuscendo a dialogare persino con Dio come fosse un suo pari o con il sole e le stelle eliminando tutte le distanze.

Un verseggiare plastico che deriva dall’uso sapiente delle figure retoriche, dalle metafore alle analogie e sinestesie. Ma ciò che colpisce maggiormente e che ho rintracciato nei suoi versi, sono la saggezza popolare e la migliore sicilianità di cui Giuseppe Gerbino, per la sua indole buona anche se “focosa”, risulta essere degno rappresentante.

Sandra V. Guddo

Maggio 2019