COME TELA DI PENELOPE di PALMA CIVELLO a cura di M.E. MIGNOSI PICONE

Palma Civello     Come tela di Penelope

Edizioni del Poggio

A cura di Maria Elena Mignosi Picone

“Come tela di Penelope” è il titolo della silloge di poesie della poetessa e scrittrice Palma Civello, laureata in Lettere Classiche, e perciò buona conoscitrice del mondo classico; infatti Penelope è la moglie di Ulisse, i protagonisti del famoso poema classico greco, l’Odissea. Ma qual è il simbolo della tela di Penelope? Essa simboleggia tutto ciò che nella vita si costruisce e subito dopo si demolisce, per ritrovarsi sempre allo stesso punto. Certo Penelope lo faceva di proposito perché aveva i suoi motivi, che non stiamo qui a spiegare, però nella vita, indipendentemente dalla volontà dell’uomo, anzi, in modo passivo, subendo amaramente, questo capita. Pensiamo ai terremoti, alle alluvioni, o anche alla malvagità umana che può distruggere una persona, una famiglia, o una morte improvvisa. Succede. Purtroppo.

Ecco, è proprio questo aspetto della vita che la nostra Palma Civello vuole porre all’attenzione e analizzarne i risvolti.  Perché? Per amareggiarci? No. Anzi. Certo non per rallegrarci, perché non si può, in questi casi. Sono di quei dolori, tra i più atroci, non solo perché inaspettati, ma perché distruggono tutto. Tutto quello che si era costruito in una vita. Ecco il riferimento alla tela di Penelope. Il paragone è molto appropriato, calza perfettamente, con eventi del genere. “Come tela di Penelope” è il titolo del libro ma anche della poesia che apre la silloge. In questa leggiamo: “”Non c’è quiete tra le nuvole / quando il vento all’improvviso / spadroneggia…/ Non si commuove il vento /…/ Tiranno, prepotente, scompiglia…e offusca tutto”. E conclude la poetessa:  “Così  la vita”.

Con un’ombra di tristezza considera i sogni, le speranze come aspettative  (sono parole sue): “ …in attesa sempre d’un lieto fine  / che non arriva mai”.

Allora non rimane altro che rifugiarsi nelle visioni del sonno che rievocano i momenti felici del passato. Sì è un’illusione, però si può provare in effetti un senso di gioia. Lo esprime con chiarezza l’autrice in questi versi: “Anch’io ho diritto, almeno nel sonno, / a rivestirmi dei colori perduti”. E si rivolge al silenzio: “…sii amico, fratello, compagno…/ togli quei chiodi / che lacerano dentro, / nel fondo più fondo”.

Però, c’è in Palma Civello una forza d’animo che non si accontenta delle illusioni, e neanche si rassegna dinanzi al male, di qualunque natura esso sia: “Contro il signore della notte nera /…contro le parole /di chi mente solo / per colpire a morte “, cosa fa Palma? : “Ancora lottero’ / per sentirmi viva”.

Un appiglio, molto forte e resistente, Palma Civello lo trova nell’amore che la lega al marito: “…m’appoggio al tuo amore” e continua. “…con te so aspettare che passi la notte più lunga”.  E poi le basta: “…avere amico il silenzio e un sorriso / e accanto soltanto una musica”.

E’ noto come Palma Civello ami moltissimo la musica. Anche in altre opere, come nei racconti “Nodi di donne”, accenna all’estasi che le procura il godersi un concerto, e qui ritorna sull’effetto meraviglioso che la musica genera nella sua anima. “…quella musica che afferra e stringe / come una spirale / …che trascina in un vortice / … / per poi arrivare in terre sconosciute / e da lì scoprire che si può volare alto”.

E oltre la musica, c’è anche la fede. Così supplica il Signore: “Naviga con noi, Signore, / siamo su una barca vacillante / ed è forte il vento e forte la tempesta”.

Pure la natura. Anch’essa può avere potere consolatorio: “…il sole al tramonto / mentre copre di tiepidi baci / il cielo ed il mare”, “Ancora la luna / a schiarire i pensieri più cupi”.

Ma perché questo precipitare improvviso di tutto ciò che l’uomo ha innalzato con la sua operosità, il suo slancio, il suo entusiasmo? Perché? Cos’era per gli antichi Greci, e qui affiora la cultura classica di Palma, che stava all’origine, che era la causa nefasta di questo subitaneo sovvertimento. Dicevano i Greci, o meglio gli Elleni, allora: era l’invidia degli dei. “…numi invidiosi” li chiama la nostra autrice.

Eh sì, l’invidia, una fiera crudele, pronta a divorare le sue sfortunate vittime.

Come le divora il terremoto. “In paesi scomparsi”: “Una casa, due case, una chiesa, / e nessuno ad attingere acqua /ad un pozzo che, ormai solo, / non regala allegria”.

Ma neanche all’invidia Palma Civello si rassegna. Non c’è rassegnazione in lei, e nell’opera di riflesso.  Molto significativa al riguardo la poesia “Tumulti”. La lotta non disdegna la nostra coraggiosa poetessa: “E si scende /…nel luogo  / più impervio e profondo, / …/ si scende / e ti devi far male / e ti devi sporcare / e non devi mostrare  / di avere paura, / non devi neanche / pensare / di avere una fuga”. E recisamente afferma: “Soltanto così / il tuo cuore / potrà liberarsi”.

Come non ha rassegnazione, così non ha neanche paura, Palma Civello. “No, non può impaurire / questo nuovo tempo/ che porta con sé fatiche / e forti rughe. / E’ pesante il suo bagaglio / di storie non finite / e strazi mai narrati /eppure…non mi fa paura”.

Nè rassegnazione, né paura quindi. E l’atteggiamento di chi sta all’erta. “Di vedetta devi stare, /…resta sempre di vedetta /… No, non stancarti di guardare /

 …per cercare di distinguere / quali furie si preparano”.

 Ora ci chiediamo: “Come mai Palma Civello, nello scrivere un libro di poesie, è stata attratta da questo particolare aspetto della vita, così doloroso, come “la tela di Penelope”, che si costruisce e si distrugge?” Un motivo c’è.  Infatti tra le ultime poesie del libro, ne troviamo una intitolata “Poggioreale”. Ora, questo è il suo paese di origine, e sappiamo che Poggioreale è stato distrutto da un terremoto. Quindi è una esperienza che ha sperimentato da vicino. I suoi nonni abitavano lì, lì c’erano le case della sua infanzia, dei suoi affetti più cari. E dopo, niente più. Silenzio e abbandono. Ma se questo è un grande dolore, ancor di più lo è quando la distruzione avviene per la malvagità umana: la guerra, la violenza, la prepotenza. Ma c’è un altro dolore, ancora più sottile, dovuto ad una malvagità sottile, subdola, quale la calunnia, la falsità, specialmente nel testimoniare, l’insidia; questo è un dolore atroce, è il dolore di Cristo, che, innocente, si trovò in mezzo ai malfattori. E ‘ un dolore difficilissimo a sopportarsi, e spesso non si sopravvive, non si può, perché il dolore morale si trasforma in dolore fisico, in malattia anche, e  mortale. E’ sofferenza di offesa di amore.

Qui in generale nella silloge di Palma, c’è invece il dolore per cause naturali. Dolore immenso ma non acerbo; aspro, pesantissimo come un macigno, ma non proveniente da malvagità umana.

Un dolore che la poetessa riesce ad alleviare mediante l’amore immenso, profondo del marito. “…accanto a me il tuo profumo d’amore”.

E’ proprio in virtù dell’affetto coniugale, che ella riesce a superare il terribile dolore, e addirittura a scorgere la luce oltre il buio: “…non mi fa paura il vento,  / e se scruto sempre il cielo / è solo per cercare arcobaleni”.

Oltre l’amore c’è qualcosa che riesce ad acquietare il suo animo dolente. E’ la poesia. Essa, dice la poetessa, “Arriva quando il grigio / d’un giorno strano assale / e scopre tutte le ferite / fino a sanguinare /…/ Ed è conforto / ed è compagna amabile d’un tempo / che non vuole ancora / dare tregua”. La poesia è dunque conforto ed acquieta / anime inquiete”.

L’amore, la poesia, perciò, compensano le amarezze ed invitano ad assaporare la bellezza che in fondo c’è, insita nella vita. Allora Palma immagina che “ Ha fretta la valigia, / freme di incontrare / un binario e un forte vento / è impaziente d’arrivare / a terre sconosciute / a luoghi dal sapore / di eterno e di armonia/. E “vivere là / dove potrò forse, allontanare il buio”.

Allora è grazie all’amore e alla poesia, che il dolore per la tela di Penelope, si lenisce, e si arriva a scorgere anche oltre il buio la luce, oltre la tempesta, l’arcobaleno”.                                                                                                          Maria Elena Mignosi Picone

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