CICIRI
Racconti di terra di Sicilia
Edizioni del Riccio ( 2018)
Tutto mi ha stupita di questo incredibile libro: le vicende narrate, i personaggi perfettamente descritti, i luoghi , l’ambientazione storica e perfino le ricette popolari tra cui u pitirri, cibo a base di ceci.
Ad imporsi al lettore è l’assoluta originalità dei racconti sapientemente costruiti dall’Autrice su orditi narrativi che hanno tratto spunto da fatti storici realmente accaduti e da un’attenta osservazione della realtà locale. A volte attingono anche ad esperienze personali, come mi ha confermato l’autrice durante una nostra breve conversazione, come nel caso del racconto “La qualora fa bene … ma non troppo”. Un racconto intenso e appassionato dove tutto ruota attorno al protagonista e alla parola “qualora”, scambiata con l’altra Kalura o calore, per assonanza. L’autrice narra la storia di un bambino che, a causa delle sue miserabili origini, sembra destinato ad una vita di emarginazione, nel labile confine dell’illegalità, per divenire invece, contro ogni previsione, un luminare della climatologia e del warning global. Coltiva un sogno che sembra assurdo ma la sua ostinazione lo porterà a realizzarlo!
Sono rimasta colpita anche dal registro linguistico che, di volta in volta, si piega e si modella alle varie situazioni e sequenze presenti nei racconti, divenendo scrupolosa descrizione quando ad esempio indugia nella rappresentazione particolareggiata, quasi visiva, degli abiti indossati dai fidanzati Romilda e Paolino, descrizione che denota un’attenta ricerca storica degli abiti del 1282, data in cui si svolgono i fatti narrati. La stessa abilità si riscontra per i paesaggi naturalistici o dei piccoli centri dell’entroterra siciliano ( La Gazza Ladra. pg 90, Tabulae Maris 116)
Più di un registro linguistico dunque per fare emergere al meglio personaggi e situazioni. La freschezza del linguaggio che caratterizza tutti i racconti è arricchita da vivaci espressioni gergali come nel caso di “u zu Ciccu” la cui parlata gergale è un vero capolavoro di indagine linguistica. Lo stesso si può dire quando Pasquale Turriciano, da autodidatta e amante della storia dei paladini siciliani, si relaziona con la gente del luogo utilizzando il linguaggio tipico dell’eroe -giustiziere che non ammette repliche. Possiamo parlare di una vera e propria esuberanza linguistica ricca di vocaboli e sfumature che si moltiplica per comunicare la forte carica di emozioni che i 14 racconti sanno suscitare nel lettore. Un esempio dell’efficacia del linguaggio che descrive il dramma vissuto da una donna cieca, accusata di lealismo e condannata a morte, si concretizza nella frase ( Nun vi brama lu Kori … pg.174)
Che dire poi delle riflessioni di Candida di fronte al ritratto del Marinaio Ignoto di Antonello da Messina ? (pg148)
Una delle tante figure femminili, sapientemente tratteggiate da Sandra Guddo, per raccontare il dolore delle madri per la sorte dei loro figli, delle giovani donne violentate, delle ragazze che sognano un futuro diverso e migliore. Tutte donne che diventano le vere protagoniste delle vicende narrate.
Lo stile narrativo in Ciciri, che racconta storie accadute tra 1282 fino ai nostri giorni, varia e si modula, evolvendosi, in senso diacronico. Si passa infatti da Ciciri, che racconta in modo originale, i fatti relativi ai Vespri siciliani, fino alla vicenda attualissima di una giovane studentessa: nel racconto il registro linguistico si aggiorna con espressioni giovanili ed aspetti tipici della società contemporanea come quando Laura, protagonista del racconto ( Nel mare non c’è taverna) denuncia il problema del lavoro precario che offre la nostra società o quando si lagna del perduto valore che in passato aveva la verginità. Ma, sorprendentemente, è proprio in questo racconto che emerge la frase “U sicilianu è megliu assai, ku ‘na palora s’ammukka u munnu”. In questo stesso racconto emerge anche una questione falsamente pedagogica che ruota attorno al quesito: è meglio insegnare ai nostri figli soltanto l’italiano o si può tramandare anche la nostra lingua? il siciliano ?
Un plauso va dunque rivolto a Sandra Guddo per un’opera nuova nel suo genere perché nuove sono le prospettive attraverso le quali la Sicilia viene raccontata.
Emma Lupo