GLI AQUILONI di Romain Gary == recens. Pierluigi Tamborini

 GLI AQUILONI

di Romain Gary

 

 

Recens.: Pierluigi Tamborini

 

E’ successo così. Stavo cercando un aggettivo che fosse compatibile con il senso di meraviglia che mi ha regalato questo libro quando mi sono imbattuto in un sostantivo che credo possa essere utile per questa nobile causa.
Si tratta di “sinfonia”.
Sì, perché questo romanzo non è altro che una musica fatta di parole. Musica per amore e orchestra, musica per memoria e orchestra, musica per aquiloni ed orchestra. A dirigere il tutto un disincantato postino di Normandia, un uomo che la Grande Guerra ha privato di tutte le illusioni, trasferendole intatte negli occhi di un nipote ereditato. Uno zio affettuoso e un po’ burbero, uno di quei personaggi che non chiedono comprensione ma soltanto rispetto e che non si possono non amare, al di là di qualsiasi bandiera.
Da bambino anch’io, come tanti, costruivo aquiloni. Erano molto semplici, una croce di balsa, un trapezio, carta velina colorata e una catena di anelli di carta come coda. Un rotolo di spago e poi via nei prati. Non avevano la tecnologica tristezza di quelli che vedo oggi ingabbiati uno sull’altro, nelle mani di un venditore extracomunitario sulle spiagge dei nostri mari, e nemmeno la bellezza di quelli di Ambroise Fleury. Lui, il postino di Clery, è un vero artista nel suo campo tanto che il piccolo paese di Francia diventa famoso grazie a lui e al Clos Joli, tre stelle Michelin, uno dei templi della cucina d’Oltralpe dove regna Marcellin Duprat, uno degli imperatori del gusto e del saper mangiare.
E poi c’è lui, Ludo, il nipote, che la vita ha gratificato di una memoria prodigiosa, un dono che, visto da una differente prospettiva, assume anche i contorni di una condanna. Quando infatti, ancora bambino si imbatte nel volto di Lila, una ragazzina polacca di nobile lignaggio, crede di riconoscere su quei tratti, gli inconfondibili segnali che solo l’amore può dare. O almeno, la rappresentazione di esso. E sarà l’inizio di una sorta di calvario, una damnatio memoriae a rovescio che tanta parte avrà nella sua personale storia.
Perché Lila, almeno all’inizio, è troppo impegnata a “sognare se stessa” (chissà perché mi ha ricordato la campionessa mondiale di noncuranza, vale a dire la Daisy del Grande Gatsby) per potere aiutare un sentimento a crescere . Ma chi ama ha spesso l’idea, quasi mai suffragata dai fatti, che la forza del proprio sentire possa bastare per due. Al punto tale che nemmeno la lontananza diventa ostacolo o barriera e quello che per tutti non sarebbe altro che un fantasma da dimenticare, grazie alla memoria prodigiosa di Ludo, diventa più reale della realtà.
Ed è tutto un crescendo quando la storia di Ludo si incontra con la grande Storia e la sinfonia di questo libro raggiunge il suo apice. Siamo alla vigilia dell’invasione della Polonia e i nostri protagonisti, ormai alla soglia dei vent’anni ascoltano i segnali di un terribile futuro in arrivo, senza però saperli o volerli interpretare. Perché è più facile rassegnarsi alla speranza che alla disperazione. Un copione appannaggio dei giovani ma che non scalfisce le certezze disilluse del postino, il cui destino sarà lontano dai suoi aquiloni, e nemmeno le certezze dello chef stellato che mette in atto una sua personale Resistenza in cui la buona cucina diventa il primo baluardo per la Francia occupata. E infine neppure il pragmatismo di una tenutaria di bordello ebrea che però, aspettandosi l’inevitabile, si arma di strategie tali da restare al di sopra di ogni sospetto.
E poi ci sono loro, gli aquiloni, dotati di cento vite e che, come l’araba fenice, rinascono ogni volta dalle loro ceneri e con volti diversi. Voleranno più bassi, sotto l’artiglio di una croce uncinata ma saranno pronti ad inseguire di nuovo l’azzurro, perché questa è la loro missione, una volta che gli Alleati saranno sbarcati proprio lì, dove le ali di carta hanno imparato a conoscere il cielo.
Questa sinfonia è stata composta da un autore che ci ha regalato gioielli come “La vita davanti a sé”.
Romain Gary (ma potete anche chiamarlo Romain Kacev o Emile Ajar, che tanto della stessa persona si tratta) ha il dono inestimabile di “curvare” le parole e renderle leggere. Esistono tanti bravi scrittori, ma i poeti in prosa non si trovano ad ogni angolo di strada. Gary prende le parole più semplici, le lavora con mani da artista e ce le ripropone come diamanti levigati a deliziare i nostri occhi. Una prosa leggera ed efficace che ci porta rapidamente in alto, ad inseguire anche noi l’azzurro con una sensazione, che ad ogni pagina si rafforza. Vale a dire che di speranza si può vivere, che di amore si deve vivere e che gli aquiloni possono anche cadere ma sono pronti a ricominciare. E’ sufficiente che , nella nostra vita, tra i molti dubbi e le poche certezze, si agiti almeno un soffio di vento.

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